Le
apparecchiature elettroniche davano ripetuti segni di irrequietezza fino a
quel momento.
Era
iniziato tutto all’alba. Gli operatori, addetti al radar dell’aeroporto
Cristoforo Colombo, avvertirono delle interferenze nei loro apparati: intermittenze
nel segnale delle radio frequenze.
A quel punto ci fu un incremento parossistico. I radar
impazzivano, bombardati da campi elettromagnetici d’insolita intensità. RF
colpivano la torre di controllo rendendo inutili i sistemi di protezione EMC
degli impianti.
Data l'ora, per fortuna, nell’area c’era poco traffico aereo e solo di
transito. Fu dato l’allarme con notevoli difficoltà perché anche le
linee telefoniche riservate erano disturbate. I primi voli di linea in arrivo a
Genova furono dirottati su aeroporti vicini: Linate, Malpensa, Caselle e
Galileo Galilei; mentre quelli in partenza
furono sospesi. Nella sala d’attesa apparvero sul display tutti i voli,
allineati su due visori, uno per gli arrivi e l’altro per le partenze, con la
dizione: “Cancelled due exceptional circumstances”, prima di dileguarsi
definitivamente, inghiottiti da un vuoto nero pece. So inaugurava, così, una giornata di
tormento sia per i fruitori che per gli operatori dei servizi aeroportuali per estendersi a tutta la città
Le
comunicazioni radio con le navi cessarono d'improvviso, mentre le potenti antenne della rete di
radiocomunicazioni alternative di emergenza del CCS della Protezione civile
della Prefettura, fortemente disturbate in R2, capitolarono in R4. Lo stallo fu
totale. Savona, Torino, Milano e una sequela di altre basi a terra delimitavano
l’area interessata dal black-out: da Varazze a Chiavari e da Novi Ligure per
una profondità di circa 30.000 miglia in
mare aperto. Era completamente inattiva ogni macchina che utilizzasse l’energia
elettrica. Praticamente, un blocco totale!
A mano a mano che il tempo passava il livello
di guardia aumentava insieme all'ansia degli operatori. In breve, furono allertati gli organismi di protezione
civile e militare, nazionali e internazionali. Marina ed aeronautica non si
raccapezzavano nel cercare di trovare una spiegazione del mistero. Finché non
entrò in campo la Nasa.
Laconica
come sempre, emise un breve dispaccio senza, apparentemente, affermare nulla. Un
notam dell’A.M. divulgò: “ Un campo magnetico di eccezionale importanza, le cui
cause sono in corso di valutazione, ha investito l’area della Liguria centrale.
Seguiranno aggiornamenti.” Si agitavano, alle spalle, i vari gradi gerarchici
gonfi d’ira nei confronti dei tecnici militari, incapaci di proferire verbo. In
altri termini nessuno ci aveva capito niente. Enav, attraverso Savona, emetteva
notam di “no-fly zone”. A Genova: treni e mezzi di superficie bloccati alle
stazioni di transito; pullman e auto private incastrate nel traffico di prima
mattina. Mezzi di soccorso e militari impossibilitati, “due malfunction”, a
raggiungere le mete comandate. Radio e televisioni gracchiavano senza un senso
concreto. Due mondi paralleli. Uno esterno, in fibrillazione perché non capiva
cosa diavolo succedeva lì, dentro l’impenetrabile cerchio che attanagliava la
città. L’altro, interno alla zona incriminata, che si riteneva abbandonata
dalla nazione.
Dopo
lunghi "attimi" di fibrillazione degli alti comandi, che sembrarono un’eternità,
si cominciò a capire qualcosa. Le pattuglie dei caccia F16CM del 31° FW
del’USAFE, levatisi in volo da Aviano, e quelle dei Tornado del 6° stormo,
equipaggiati con scanner laser RECELLITE, alzatisi dalla Base Ghedi di Brescia,
confermavano le turbolenze. Iimpossibile attraversarle senza che vi fosse pericolo per l'equipaggio e la macchina. Per ragioni di
sicurezza ne fu limitata l'operativa alla semplice osservazione dell’area interessata. Gli strumenti di osservazione a terra, fino alla tangenza massima consentita dalle attrezzature, rilevarono la presenza di un oggetto luminoso sull’asse verticale di
Genova.
Contemporaneamente, il gruppo di turbolenza ottica dell’osservatorio di
Arcetri segnalava una fonte di disturbi elettromagnetici a 45.000km. sulla
verticale del punto a latitudine 44.4056499N/long. 8.946256E. In meno di un minuto i
cervelli di tutto il mondo scrutavano il fenomeno. Apparentemente, un globo
luminoso immobile. I genovesi, intanto, stavano riprendendo le attività
mattutine e le imprecazioni salivano alte nel cielo. Telefoni, radio e video
comunicazioni: inesistenti. Serrande e auto bloccate; mezzi pubblici, di
soccorso, civili, militari, navi in rada, in arrivo e in partenza ridotti a
giocattoli inutili. Secoli di progresso al macero!
La
pallina luminosa dai contorni nebulosi all’improvviso sparì dall’osservazione
degli occhiuti curiosi specializzati. Fu allora che si materializzò su Piazza
De Ferrari. Non esattamente ferma, non esattamente solo sulla piazza.
Circondata da una luminescenza verdognola, incombeva dall’alto senza posarsi.
L’asse centrale del globo aveva come vertice il centro della fontana, ridotta
al silenzio dalla caduta di potenza delle pompe di sollevamento, ingrippate
dall’incontro ravvicinato del terzo tipo. L’imponenza della “cosa” era tale da
superare di almeno cento metri il campanile della Chiesa del Gesù, schiacciando
sotto la sua massa la visione del Palazzo dei Dogi ed estendendo la sua mole
fino a ricoprire il povero Carlo Felice. Nessun rumore, nemmeno un sibilo. La
visione, in verità, era confusa.
Il
pulviscolo verdognolo si spandeva nell’aria, conferendo un che di sinistro e illividendo ogni cosa. I
passanti fuggivano; qualcuno, che aveva ancora il fiato in gola, urlava.
Un’onda frastagliata di gente si allontanava dalla piazza, terrorizzata. I
corpi di polizia di Stato e di quella
metropolitana accorrevano trafelati con in testa il sindaco e gli alti
papaveri, ma rigorosamente a piedi, unico mezzo di comunicazione ancora consentita
dalle circostanze. Spauriti e a distanza si davano da fare per creare un
cordone di sicurezza per tenere lontani i “civili”, ma frastornati
dall’eccezionalità della situazione che li deprivava di chiari ordini superiori
che tardavano ad arrivare per difetto di comunicazioni e, ancor più, di idee.
Enorme, la “Palla” sovrastava la città che combatteva senza armi, affacciata
sul balcone della sua impotenza, la
nuova perenne battaglia contro la paura dell’imprevedibile.
A
Roma, dopo l’usuale, iniziale, fatalistico torpore, si buttarono giù dal letto,
pronti ad intervenire, armati fino ai denti, con le forze di Terra, di Mare e
di Aria, compatibilmente con la contingente situazione di ristrettezza
economica. Purtroppo, le ingenti milizie si arrestavano impotenti dinanzi allo
sfacelo elettromagnetico che destabilizzava il rapido intervento a protezione
della popolazione e, per precauzione, restavano allertate, ma senza uscire
dalle caserme, in attesa di ordini precisi e per non consumare combustibile
inutilmente. Nei vertici militari riunitisi a consulto serpeggiò l’idea dell’utilizzo
delle armi nucleari da richiedere a potenze amiche d’oltralpe, superata dal
netto rifiuto da parte degli Organi costituzionali politici che, saggiamente,
valutarono l’impossibilità a rinunciare a una parte consistente dell’elettorato
che avrebbe voltato loro le spalle, comunisti o non comunisti.
Non
sapendo a che Santi votarsi, si consultarono con gli Stati Uniti d’America,
prima, e d’Europa, dopo. La USAF si era allertata fin dall’inizio della
situazione di blach out con i mezzi della base di Aviano. Erano al corrente
della presenza UFO, presumibilmente extraterrestre, non escludendo
aprioristicamente una possibile ingerenza russa o cinese o, peggio, iraniana. I
loro interceptors erano già in volo, ma senza poter avvicinarsi all’invisibile
cono elettromagnetico che avvolgeva l’“area”, estendendosi sino allo spazio.
Gli astronomi stavano calcolando il raggio, la dimensione e la provenienza. La
risposta pervenne dall’osservatorio astronomico di Baikonur che stabilì che il
raggio elettromagnetico proveniva dallo spazio esterno fra Altair e Vega, ma di
più non sapeva, mentre gli scienziati inglesi, tedeschi e francesi studiavano
affannosamente “l’insolito evento”, ipotizzando eventuali conseguenze per
possibili sconfinamenti sui loro territori. Intanto la Palla taceva. Le ore
passavano in affannosa immobilità. Gruppi di preghiera spontanei si riunirono,
mentre le autorità sudavano freddo, rassegnati al peggio.
Nel
torpore della forzata attesa, qualcuno sfuggì al capillare controllo
predisposto sulla piazza e attuato dalle forze di sicurezza, private, purtroppo, dei
sistemi di offesa garantiti dai mezzi corazzati, costretti dall’“interferenza”
extraterrestre all’immobilità, retrocessi, con uniliazione, a ferri vecchi nei loro hangars.
Un bambino di otto/nove anni , da
un angolo della Piazza, sgattaiolò, fermandosi
sotto l’effervescente crosta, virulenta di corpuscoli verdastri. Reggeva
nella mano una delle sue scarpette da ginnastica. Prese la mira, calibrando il
proiettile, e tirò verso il mostro.
Terrorizzati,
i difensori della patria si accorsero finalmente del piccolo, raggelando. Qualcuno pensava alle conseguenze
che avrebbe subito il bimbo, la maggior parte, invece, alle conseguenze che la
malaugurata distrazione avrebbe avuto sulle loro carriere, perfettamente consci
della gravità del momento.
Un
colpo secco fece accapponare la pelle ai difensori della Patria, armati fino ai denti, che si girarono verso la
fonte, presi alle spalle. Una donna aveva spalancato la finestra, gridando: “U
figgeu!” “Dentro, Signora!” ordinò con
rabbia un militare, spianando inutilmente il mitra d’ordinanza.
La
scarpa non arrivò al bersaglio. Fu lambita a mezz’aria da un lampo azzurro
verdastro, scomparendo alla vista. Ci fu un moto di meraviglia e di impotenza
della piazza. Una fetta del gigantesco popone sembrò illuminarsi di una luce
intensa, spaccandosi come per un assaggio, mentre il “piccin” si dileguava nei
carrugi laterali da cui si era materializzato poco prima.
Furono attimi di
esitazione e di ansia, prima che il "globo" sputasse il semino che giacque rivoltato su un lato, i lacci
abbandonati sull’asfalto. Il “Pallone” si ricompose con un sussulto. Gli occhi,
sgomenti, erano fissi su di lui. Gli uomini imbracciavano i loro fuciletti,
nascondendosi dove meglio potevano, pronti a difendersi. Il veicolo extraterrestre cominciò a
vibrare, accelerando il moto rotatorio in progressione. Ruotò sempre più
veloce, prima di sollevarsi in una vertiginosa, ascesa verticale. Senza scie,
senza rumori, in brevissimo tempo scomparve alla vista del verminaio di curiosi
che, man mano che si allontanava, lentamente e sempre più numeroso, usciva da sotto il sasso per rifiatare,
libero dallo scampato pericolo. L’enorme palla com'era arrivato così si allontanava, come uno yo-yo
richiamato dal filo invisibile a cui doveva essere legato.
Le
forze militari corazzate e para militari che avevano circondato la “off zona”,
sfogarono la loro rabbia precipitandosi all’interno. In un battibaleno, con perfetta coordinazione,
occuparono piazza de Ferrari “liberata” , intasando
l’intera città. Intanto le interrogazioni parlamentari piovevano, finalmente,
sulle Camere romane, fino ad allora in prudente attesa dell'evolversi della situazione. Palazzo Chigi si affrettava a tranquillizzare la nazione. L’invasore era stato scacciato e la
situazione era sotto controllo. La scarpina, recuperata, sarebbe stata
consegnata al legittimo proprietario, dopo gli accurati esami scientifici non appena fosse stato identificato.
Peccato che i bimbi crescano in fretta!