Una
luce intensa s’aprì il varco, un puntino in lontananza sempre più arrogante.
Senza rumore, senza soste, avanzava a velocità costante, ingigantendo. Finché
il biancore accecante non gli impedì di vedere oltre. Catalizzava l’attenzione.
Intorno, un deserto di nulla. Alle spalle, l’impressione di buio perenne.
Inizio o fine di qualcosa? Una forza inerziale progrediva avvolgendo la massa
di cui intuiva di essere composto. Lo spingeva in un tunnel di luce, bianca
come l’origine da cui scaturiva. Lo abbagliava, anzi era dentro di lui. Lo
divorava. Non provava sofferenza, tuttavia, né timore. Una infinita calma
l’avvolgeva, ovattando le sensazioni.
Il
Bang inatteso dissestò il limbo in cui era sospeso. No, non era rumore, non era
violenza, “non era” soltanto. L’effetto
fu dirompente. Miriadi di corpuscoli volteggiavano. Urtandosi, esplodevano
senza alcun rumore, in un caleidoscopio di colori. Si frazionavano in unità
sempre più piccole che schizzavano via, rimpicciolendosi. Si allontanavano da
lui, così, rallentando, fino a scomparire. Una raggiera di fuochi d’artificio.
Dov’era il punto di innesco? Qual era la causa? Osservò le minuscole
particelle, più lontane, disperse su di un tappeto nero in cui lentamente affondavano,
sparendo alla sua vista; un universo pecioso che invischiava tutto.
Una
scarica violenta di pioggia lo fece trasalire. L’impatto sulle lamiere, squassate
dalla velocità di caduta, provocavano un rumore assordante. Grandine, pareva!
Il ventre di un serpente, nero come quell’universo che poc’anzi aveva osservato
da lontano, gli sembrava che ora gli si aprisse davanti, mentre penetrava nelle
fauci spalancate. L’invase un senso di disgusto. Satelliti o pianeti, grandi
come palline da ping-pong, gli turbinarono intorno. Ma forse era lui che
girava, vorticando intorno. Cadeva, in un imbuto senza fine, senza pareti,
senza colore, senza consistenza. Una sensazione di straniamento che, però, non gli incuteva paura. Irritazione, piuttosto! Tutto sommato,
però, non provava alcun dolore.
Quali
leggi governavano quel mondo? Un gigantesco “Vuoto”, senza significato, lo sovrastava; e lui non
lo rifiutava, supinamente schiavo. Lo disturbava, sì, l’irreale inconsistenza
che percepiva di un ambiente governato da leggi diverse. Diverse da che? Non
sapeva neanche in che cosa fosse diverso; certo era senza regole, senza
imposizioni. Inusuale?! Quel moto-immobile l’inquietava; non apparteneva ai concetti
in cui si era esercitato. Ma quali erano quei concetti? L’istinto di esistere
s’impose impellente, provocandogli uno stato di ansia.
Cercò
un appiglio, qualcosa a cui ancorarsi per fermare la giostra su cui era,
inconsapevolmente e, forse, contro la sua volontà, salito. S’arrestò di colpo,
senza che avesse fatto alcunché per fermare la corsa. Una stanchezza immane gli
piombò addosso. Pensò di controllare le proprie condizioni, rivolgendosi verso
se stesso, ma non vedeva nulla. Nessuna mano, nessun braccio, nessuna gamba,
nessuna pancia, nessun sesso, nessuna sostanza. Tentò di toccarsi, per saggiare
la propria consistenza. La risposta fu scioccante. Non sentiva nulla, forse
perché non aveva nulla con cui toccare e nulla da toccare. Ma allora chi era,
com’era, cos’era e che ci faceva lì? Dov’era caduto e da dove? Cosa c’era prima
di lui? Era solo? Ma che senso poteva avere l’essere solo. Una girandola iniziò
a ruotargli davanti. Il terrore lo afferrò nel suo ingranaggio per scagliarlo
lontano.
“Disconnesso!”
pensò quando si riebbe. Per quanto tempo era rimasto privo di coscienza? Che
cos’era il tempo in quella situazione? E dov’era se non esisteva nulla ad
indicargli la via? Ma di quale via stava parlando? Un nastro d’asfalto, grigio,
monotono, gli scorreva davanti, incitandolo a procedere. Un senso di calore
l’afferrò. Lentamente, si sentì inaridito, privo di domande, senza risposte: la
situazione ideale! Dum, dum, dum, dum. Passi pesanti calpestavano l’invisibile
pavimento di quel mondo surreale che lo teneva prigioniero. Dum, dum, dum ,
dum, dum, dum. Il gigante si avvicinava. Annaspò, disarmato. Non aveva neanche
le mani per afferrare strumenti di difesa, se ce ne fosse stata la necessità.
All’improvviso si ricordò che era pur vero che non aveva neanche una sostanza
da difendere e, forse, non aveva alcuna ragione di temere un danno alla sua
sopravvivenza. Gli venne da ridere, soddisfatto, e strinse gli occhi, sornione.
“Ha
stretto gli occhi!” una voce femminile gridò, strappandolo alle sue traballanti
congetture. “Si sta risvegliando, dottore!”
Infastidito
provò a guardare fuori dal vuoto in cui era. Un velo biancastro intorpidiva i
lineamenti del viso che lo spiava. Richiuse di colpo la finestra che lo
collegava a quell’altro mondo. Avrebbe voluto fuggire. Qualcuno gridò qualcosa
contro di lui, quasi a rimproverarlo di essere ancora lì. Allora farfugliò
qualcosa, senza capire che stesse dicendo.
“Stabilizzato!
Al reparto.” sentenziò un Padreterno materializzatosi all’improvviso,
inchiodandolo alla realtà dei fatti.
“Amen!” pensò il poveretto.
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